16 ottobre 2010

16 ottobre 2010
Attualissimi.

giovedì 20 ottobre 2011

fatti di roma 15 ottobre 2011

 
chi sono..i black bloc.????
 Nichilisti... (dal latino classico nihil e dal latino medievale nichil, nulla) indica l'assenza di una finalità ultima che orienti il corso della vita....con aggiunta di mancanza di socialità...coloro che sognano una vita da eroi..ma si mantengono con l'assegnino del papì....privi di ogni ideologia...x questo ancora più poveri di tutto!!!!!!!

giovedì 15 settembre 2011

Helle Thorning

 "Relazioni pericolose tra potere politico e potere bancario. Prima gli Stati hanno aiutato le banche, adesso sono in ginocchio. Occorre garantire una maggior presenza dello Stato nelle banche e puntare sulla partecipazione dei cittadini"

lunedì 15 agosto 2011

Moto

Invece di continuare a ripetere a chi guida una moto che è pericolosissima e ci si muore... pensa a guardare 2 volte mentre guidi, mentre ti immetti sulla strada principale! Controlla bene nei specchietti quando cambi corsia! Prima di girare! Rimani dalla tua parte della strada, soprattutto in prossimità di una curva! Rispetta le distanze di sicurezza! Tieni gli occhi sulla strada e lontani dal tuo cellulare!" Se hai a cuore qualcuno che guida la moto...

martedì 2 agosto 2011

FERROVIERI....2..."...PRIMI DEL SECOLO MACCHINISTA FERROVIERE..."

FERROVIERI 2
...mentre delle persone perdono tutto, cioè la vita,in due metri quadri con un gas o sotto un camion o dentro una stiva di una nave, o gettati in mezzo al mare.
Quella che mi avevano insegnato essere la Categoria di lavoratori piu sindacalizzata,politicizzata dal novecento ad oggi....parla di un'occupazione dei binari da parte di extracomunitari, osservando che "ora però hanno rotto il c...o basta..ma cosa vogliono questi che prendono le case comunali,l'asilo gratis, è assurdo ma tanto se da lavorà non c'è neanche per noi... cosa vengono a fare...??".
Ma dove è finita quella Categoria più sindacalizzata più politicizzata del 900...quella che non esitava a fare scioperi di SOLIDARIETA'...quella con la cultura dell'accoglienza.
Ne sento la mancanza...e ne ho maledettamente bisogno....
Perchè mi viene da pensare che tutto e tutti fanno schifo e si ragiona solo con superficialità.
Un professore che non era un comunista... tutt'altro,mi insegnò che bisogna guardare cosa c'è dietro le fughe dal propio paese, ricordo che mi fece vedere delle foto di certi posti a dir poco invivibili....e mi disse"..noi siamo fortunati ad essere nati qui".
FORZA FERROVIERI TORNIAMO AD ESSERE QUEL TIPO DI CATEGORIA CHE ERAVAMO.....PUR CON LE NOSTRE DIVERSITA' CHE RENDONO LA GRANDE FAMIGLIA FERROVIARIA UNICA!

venerdì 10 giugno 2011

Capitalismo....sta per essere bruciato l'ultimo quintale....Domenica 12 fatelo..

Il puritano volle essere un professionista, noi lo dobbiamo essere. Infatti, quando l’ascesi passò dalle celle conventuali alla vita professionale e cominciò a dominare sull’eticità intramondana, contribuì, per parte sua, a edificare quel possente cosmo dell’ordine dell’economia moderna- legato ai presupposti tecnici ed economici della produzione meccanica-, che oggi determina, con una forza coattiva invincibile, lo stile di vita di tutti gli individui che sono nati entro questo grande ingranaggio (non solo di coloro che svolgono direttamente un’attività economica), e forse continuerà a farlo finché non sia stato bruciato l’ultimo quintale di carbon fossile.”                                                             

martedì 3 maggio 2011

"Ognuno è padrone di se stesso, e nessuno è padrone di un'altro!"

domenica 24 aprile 2011

Attualissima...politici veri!!!!!!!!!

STORIA E POLITICA A 94 anni, il leader storico del vecchio Psi cerca nuove vie per spiegare la globalizzazione. E spera nel futuro della sinistra
DE MARTINO :"Ci vorrebbe un nuovo Marx"

«Berlinguer? Non volle cambiar nome al Pci perché temeva che i russi ne approfittassero»


DAL NOSTRO INVIATO
NAPOLI - Ha 94 anni, Francesco De Martino: un Patriarca, sì, ma di una famiglia, quella del socialismo italiano, che una spaventosa bufera ha disperso per mille rivoli. E poi lui, De Martino, della dissoluzione del Psi non ha proprio voglia di parlare: «Vedere ridotti in questo stato gli eredi di un partito che nella storia italiana ha rappresentato quel che ha rappresentato, più che meravigliarmi, mi mette malinconia, e alla mia età non bisogna immalinconirsi. A me, pensi, il futuro interessa molto più del passato. Stiamo vivendo, in Italia e nel mondo, un passaggio d’epoca. E quello che più mi addolora della vecchiaia è che non potrò mai sapere come andrà a finire...».
Tra qualche giorno si vota, professore. Pensa anche lei, come Norberto Bobbio e Alessandro Galante Garrone, che la posta in gioco sia la democrazia?
«Ho grandissimo rispetto per Bobbio e Galante Garrone, ma allargherei un po’ il discorso. Un sistema democratico cede all’autoritarismo, ma oggi è più giusto dire al plebiscitarismo, se i suoi pilastri non reggono più. E io non riesco a immaginare pilastri diversi dai partiti e dai sindacati».
Be’, a dire che è stato Silvio Berlusconi a mettere in crisi i partiti e i sindacati si rischia di scambiare la causa con l’effetto...
«Già, bisognerebbe sforzarsi di capire com’è che si è prodotto, il fenomeno politico Berlusconi. Ha le televisioni, certo, e questo è stato ed è decisivo per fare arrivare a segno il suo messaggio. Ma non dimentichiamo che, sin dall’inizio, i destinatari di questo messaggio sono stati elettori privi dei partiti per cui tradizionalmente votavano».
E non c’entra anche il «passaggio d’epoca» di cui lei parlava prima?
«Penso proprio di sì. I valori predominanti, ormai, sono la concorrenza, la competitività, l’egoismo individualistico: e questo non può non indebolire i partiti, in primo luogo, ovviamente, quelli di sinistra, e i sindacati. Non è un fenomeno solo italiano, si capisce, ma da noi la tendenza ad esautorare questi organismi è più forte che altrove. E non incontra troppe resistenze in una sinistra che, anzi, accetta acriticamente un simile quadro di riferimento. Non credo che si possano trovare risposte soddisfacenti nei nostri classici, è chiaro. Ma trovo ugualmente stupefacente che una sinistra moderna non si chieda nemmeno se sia possibile, e come, favorire il progresso tecnico e scientifico indirizzandolo verso l’interesse collettivo e non solo verso l’interesse dei gruppi economici e finanziari più potenti».
Neanche questo, a voler essere sinceri, sembra un problema solo italiano...
«Ma in Italia è più evidente che altrove. E di anomalie noi ne presentiamo anche un’altra, di natura che potremmo definire "etnica": la frammentazione. Ognuno, non soltanto a sinistra, ma soprattutto a sinistra, vorrebbe un partito esattamente eguale a quello che ha in testa».
E’ una storia antica...
«Antichissima: basta pensare al Psi. Mentre il fascismo stava già vincendo, i socialisti si dividevano su come fare la rivoluzione. Dopo la Liberazione, nel mondo diviso in due dagli accordi di Yalta, rivoluzionari e riformisti avrebbero potuto benissimo convivere nello stesso partito, perché possibilità di andare oltre certi limiti, in Italia, non ce n’erano. Invece prevalsero le passioni...».
E si perse sul nascere la possibilità di dar vita anche da noi, come in tanta parte d’Europa, a un grande partito socialista. Tanti anni dopo, non le sembrerebbe giusto riconoscere che, nel 1947, aveva ragione Giuseppe Saragat?
«Sul piano storico sì, sicuramente, tanto è vero che le sue idee hanno vinto. Ma politicamente fu sconfitto, e non per caso: la spinta all’unità era fortissima tra i lavoratori che sognavano di "fare come in Russia" ma anche tra quelli che, più semplicemente, volevano un lavoro e un salario dignitoso. Li ricordo bene, quegli anni. Dopo lo scioglimento del Partito d’Azione, ero confluito, con tanti compagni, nel Partito socialista. Da professore, non da funzionario di partito, trovai finalmente la tranquillità della coscienza proprio partecipando a quei congressi, a quelle assemblee, dove cadevano le differenze di classe, e prevaleva la comunanza di sentimenti e di ideali».
Comunque, se fosse nato un grande partito socialista, la storia italiana sarebbe stata assai diversa. E diversa sarebbe stata anche la sorte del nostro sistema politico: prima o poi, avremmo conosciuto anche noi l’alternanza.
«Probabilmente sì. Ma la storia è quella che è, non possiamo cambiarla. E nemmeno i suoi protagonisti. Pensi a Pietro Nenni. Nel ’47 forse non credeva che Saragat avrebbe fatto davvero la scissione...».
E nel ’63, quando a lasciare il partito, per dare vita al Psiup, fu la sinistra filocomunista?
«Nenni pensò che quello fosse il prezzo da pagare per fare il centrosinistra. Anche Riccardo Lombardi era molto critico sull’accordo che stavamo facendo con la Dc. Quando gli dissi che rischiavamo di perdere anche lui, Nenni allargò le braccia e mi disse: "Che ci vuoi fare?". Io feci di tutto per trattenerlo, e ci riuscii. Chi dirige un partito lungo un passaggio storico ha il dovere di cercare di preservarne l’unità. A quale costo? In me prevalse l’idea che il governo di centrosinistra dovessimo comunque farlo. Non sono convintissimo di aver visto giusto, il dubbio me lo porto ancora appresso».
L’eredità della stagione craxiana, secondo lei, è da liquidare in blocco?
«No, l’intuizione di Craxi era giusta, l’Italia andava ammodernata, a cominciare dal sistema politico: ma, nel concreto, Craxi fece tutto l’opposto. Il vero motivo di divisione tra noi e i comunisti consisteva nel loro rapporto con l’Urss. E proprio negli anni in cui il Pci si rendeva sempre più autonomo da Mosca, la polemica di Craxi si faceva più aspra, come se il Psi avesse deciso di andare in senso contrario al processo storico, mettendosi sulla china che, passo passo, lo avrebbe portato fino alla scelta del cosiddetto Caf».
Qualche responsabilità, magari, la avranno avuta anche i comunisti .
«Sì. Però io non dimentico che alla metà degli anni Settanta, dopo che a Mosca aveva solennemente dichiarato di considerare la democrazia un "valore universale", io dissi a Berlinguer: "Adesso non ti resta che cambiare il nome al tuo partito"...».
E lui?
«Mi rispose: "Non posso, perché quelli là (e intendeva i russi) farebbero nascere subito un altro partito comunista, e i miei non sono preparati a un simile trauma". Evidentemente, Berlinguer teneva all’unità del suo partito più ancora di quanto io tenessi all’unità del mio».
Massimo D’Alema e Giuliano Amato, ma non solo loro, sostengono che, comunque vadano le elezioni, bisognerà porre mano alla costruzione di un partito socialista di stampo europeo. Lei considera ancora attuale questa prospettiva?
«Attuale? Sì, ma in forme nuove rispetto al passato. E utile. E necessaria. La politica ha bisogno di riferimenti che durino nel tempo, di partiti in cui si sta assieme anzitutto perché se ne condividono gli ideali».
Ma lei pensa che questa parola così carica di storia, di grandezze ma anche di miserie, socialismo, possa significare ancora, per i giovani, qualcosa per cui vale la pena di impegnarsi?
«I giovani... Ogni tanto mi viene da pensare che servirebbe non dico un nuovo Marx, ma qualcuno che si impegni ad affrontare un po’ meno superficialmente categorie che oggi vanno per la maggiore, come la globalizzazione: possibile che a così pochi venga in mente che, per adesso, rischia di coincidere con il potere indiscusso di una sola grande potenza sul piano mondiale?».
Le chiedevo del socialismo.
«Socialismo è una parola che in molti suscita preoccupazione, in molti, al contrario, speranze. Ma la parte che ha sperato, e vorrebbe continuare a sperare, è delusa, e alle elezioni si astiene».
E lei, spera?
«Io sono molto anziano, anzi, sono molto vecchio. Quando ero giovane, la piccola borghesia mangiava la carne una volta la settimana, la povera gente due o tre volte l’anno, nelle grandi festività. Da allora l’Italia è straordinariamente cambiata, e in meglio. Ma, fino a quando ci sarà disuguaglianza, ci sarà sempre richiesta di condizioni migliori di vita. Sul piano materiale, certo, ma anche sul piano morale e civile».

Corriere della Sera
7 maggio 2001